Riflessioni a margine del D.D.L. Zan in esame al Senato.

Lavori Parlamentari

Le critiche mosse al Disegno di legge Zan sono pressoché esaurite. E a mio parere, per quanto alcune di queste risultino di grande interesse sotto il profilo della futura operatività della legge, esse non reggono assolutamente il confronto con l’obiettivo di riforma: ampliare la platea dei soggetti meritevoli di tutela giuridica.

Ognuno di noi ha un’idea di se stesso in ragione dell’altro e del riconoscimento che questi rivolge alla nostra visione della vita e alle nostre scelte relazionali. Ognuno di noi esiste in ragione della sua proiezione, manifestata anche e soprattutto attraverso l’esercizio della propria libertà di autodeterminazione sessuale e di genere. Quando questa proiezione viene ingiustamente e violentemente impedita si verifica un grave danno non solo per la persona destinataria dell’atto ma anche per la società tutta.

Sono tanti i fatti di cronaca e i dettagliati dati che da diversi anni ci raccontano che l’Italia versa in un grave stato d’emergenza1. L’Italia è un paese dove ancora in molti, per le strade, nei luoghi di lavoro, in ambito familiare, nei locali aperti al pubblico, negli stadi e dappertutto, faticano ad accettare l’esistenza di identità di genere e orientamenti sessuali diversi dalle proprie. Si accaniscono sempre più spesso con incredibile violenza fisica e verbale, generando o aggravando stati di vulnerabilità. Oggi, in Italia, lo sviluppo della persona umana di cui all’art. 3 Costituzione è costantemente ostacolato.

Ma le previsioni contenute nel ddl Zan possono davvero arginare tutto questo? Quattro i punti sui quali è dato riflettere:

  1. Si è più volte ribadito che nel nostro ordinamento esistono già delle norme penali che tutelano la nostra integrità fisica e psichica e che quelle di nuova fattura complicherebbero la libera manifestazione del pensiero. Ma non è così. Sostenere questo significa addurre argomenti privi di evidenze. Un fatto è esprimere un sentimento di diniego o insofferenza, un altro fatto è esprimerli in modo tale da istigare azioni violente. Nella misura in cui la parola si fa ingiustificatamente e disperatamente violenta e aggressiva, la parola non tarda a diventare atto di violenza. Le fattispecie di reato introdotte dal disegno di legge sono ben più specifiche; si tratta di atti connotati da una ben più precisa gravità, in quanto commessi in ragione della condizione personale della vittima.

  1. Nella costruzione delle fattispecie di reato in questione c’è una complicata questione culturale. Il DDL Zan la individua, la mette nero su bianco, e la affronta. Se la riforma non passa non è perché c’è un errore nel disegno di legge (che, peraltro, è il frutto di una lungo, intenso e pluralistico confronto parlamentare); se non passa, la questione è una e una soltanto: oggi non si vuole accettare che l’aumento dei casi di violenza sia determinato da ragioni prettamente culturali. In primo luogo, quel tragico desiderio di dominio che una buona parte della società generalmente rivolge a tutte quelle categorie che all’interno dell’immaginario patriarcale, machista, della virilità dominante, sono categorie subordinate.

  1. Nell’intenzione di riforma non c’è soltanto lo strumento penalistico. Vi è anche una parte tutta dedicata all’approccio preventivo da realizzare sul versante sociale e culturale, e che, di fatto, relega il diritto penale a intervento residuale. Si tratta, ad esempio, del potenziamento delle competenze dell’UNAR (Ufficio per il contrasto delle discriminazioni della Presidenza del Consiglio), tenuto all’elaborazione di una strategia nazionale triennale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni per motivi legati all’orientamento sessuale e identità di genere; o ancora, si tratta della creazione di presidi territoriali ora centralizzati ora periferici, finanziati con le risorse del Fondo pari opportunità che, ex art. 9 del ddl, verrebbe incrementato in via strumentale alle politiche di prevenzione, di sostegno alle vittime e di contrasto della violenza motivata da orientamento sessuale e identità di genere. E’ questo il momento realmente centrale del disegno normativo.

  2. Una società più giusta è costruita sull’uguaglianza, la quale comprende il diritto di avere un proprio orientamento sessuale e una propria identità di genere. Concetti, quest’ultimi, non certo improvvisati o ideologicamente orientati, ma già da tempo ricondotti, nella legislazione e nella giurisprudenza italiana e sovranazionale, tra gli elementi costitutivi dell’essenza umana, momento libero e imperscrutabile. Assicurare una maggiore tutela della dignità umana non significa imporre una propria visione della vita. Il rispetto della dignità della persona, sotto il profilo dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale, non è una tesi di parte. E’ la condizione che permette a tutti una dignità integra, essa condizione per una società libera e inclusiva per chiunque senza distinzioni. Far passare il disegno di legge spiegherebbe il tentativo di superare visioni di società tanto stereotipate quanto violente, identificate all’interno di un preciso e ad oggi inaccettabile ordine gerarchico.

1Cfr. Dati pubblicati in seno allo studio Trans Murder Monitor Project realizzato dall’associazione transgender Europe Tra gli anni 2008-2020, l’Italia ha patito nel proprio territorio il più alto numero di omicidi motivati da discriminazione per l’orientamento sessuale e identità di genere

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