Il finanziamento pubblico ai partiti funziona se non diventa strumento di conservazione del potere.

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Il finanziamento pubblico ai partiti funziona se non diventa strumento di conservazione del potere.

L’eliminazione del finanziamento pubblico ai partiti origina da quel sentimento di rifiuto suggellato dal referendum del 1993, alimentato dall’eco di scandalose pratiche corruttive che hanno, in concreto, trasformato un mezzo di attuazione dell’art. 49 Cost. – per cui lo Stato deve favorire lo svolgimento dell’attività politica – in un mezzo di ingiustificato arricchimento.

Così, dal 1974 al 2019, in ragione dell’impiego illecito di tali finanziamenti, lo Stato ha progressivamente rinunciato al suo ruolo di finanziatore delle realtà partitiche, rimettendo, attraverso una disciplina sempre più magmatica (ma inevitabile) direttamente in capo ai soggetti politici la ricerca di denaro e di strutture per lo svolgimento delle proprie attività.

Ad oggi, con l’eliminazione dei rimborsi elettorali, il sistema di finanziamento dei partiti si realizza attraverso quattro canali: le donazioni private, il 2×1000, le erogazioni effettuate dai gruppi parlamentari e le donazioni realizzate dai singoli parlamentari eletti. Tra questi, le principali fonti di finanziamento sono le ultime due2. Mentre il 2×10001  ha un impatto pressoché minimo. Per quel che concerne le donazioni, invece, la loro consistenza non è del tutto nota. 

Come autorevolmente ribadito, il finanziamento non è un premio, ma uno strumento; uno strumento che permetta un sistema partitico equilibrato3 , fondato sulla partecipazione4, sul confronto democratico, sulla formazione e, ultimo ma non ultimo, sulla trasparenza.
Di qui,
se impiegato adeguatamente, cioè in modo trasparente, il finanziamento pubblico ai partiti è tutt’altro che pericoloso all’interno di una società multipartitica. Nel momento in cui, però, esso diventa strumento di conservazione del potere, esce fuori dal raggio della costituzionalità. 

Secondo questa prospettiva, quindi, il finanziamento pubblico ai partiti, previ interventi correttivi e attuativi, rappresenterebbe una buona via per garantire una vita politica attiva, adeguata e parificata.
Le attività di un partito, come noto, non sono solo circoscritte al momento elettorale; le attività di un partito sono molteplici, per cui il finanziamento pubblico non sarebbe soltanto moneta sonante, posto che il finanziamento potrebbe avere molteplici contenuti, dalla messa a disposizione di locali per le riunioni di partito alla previsione di agevolazioni per i trasporti per attività politiche; lo è la copertura delle spese collegate alla diffusione delle opinioni politiche, il supporto economico alla stampa di partito e alle cooperative culturali.

In altre parole, si può certamente discutere sulla fattibilità del finanziamento pubblico, ma non sulla sua utilità. Le storture di tale sistema purtroppo sono molteplici. Fintantoché mancheranno le indispensabili iniezioni di trasparenza5 circa l’impiego del denaro pubblico da parte delle realtà politiche e, allo stesso modo, fintantoché non vi sia una precipua regolamentazione del fenomeno del lobbying6, reintrodurre il finanziamento pubblico è fuori discussione.

Per meglio cogliere la complessità della questione, si riporta qui di seguito una breve ma esaustiva scheda di sintesi sulla storia del finanziamento dei partiti dal ’74 ad oggi, evidenziandone punti di forza, criticità e possibili soluzioni.

Leggi anche la Breve sintesi sulla normativa sul finanziamento pubblico ai partiti dal ’74 alla Spazzacorrotti del 2019

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1 Il 2×1000 si effettua con la dichiarazione dei redditi. In quella sede, i contribuenti possono decidere di destinare una quota della loro IRPEF lo 0,2% ai partiti registrati anziché allo Stato. Si tratta di un finanziamento pubblico indiretto che fa leva sulla volontà e sulla sensibilità dei singoli consociati. Rivela tanto del legame territoriale che una forza politica ha con i cittadini e, soprattutto, l’estrazione sociale delle formazioni politiche. 

2 È chiaro, allora, che i partiti sopravvivono in considerazione del numero di seggi che essi hanno a disposizione. Precisamente, i gruppi parlamentari ricevono una somma di denaro da parte della Camera di appartenenza per lo svolgimento delle proprie attività istituzionali. Molto spesso, come denunciato da più parti, il confine tra attività istituzionali e attività di partito cui sono destinate tali somme risulta assai sottile.

3 Ci sono talune esperienze, come quella britannica, che tendono a impostare il proprio sistema di finanziamento soltanto nell’ottica di tutela delle minoranze politiche. 

4 Dal secolo scorso a oggi, la popolazione italiana è aumentata del 10%. Gli italiani attualmente iscritti in un partito sono poco più del 10% degli iscritti della metà del secolo scorso. 

5 Dei rimborsi elettorali pubblici stanziati dal ’93 al 2017, viene, ad esempio, rilevato che i partiti ne abbiano utilizzati complessivamente solo il 30%.

6 La carenza e la confusione legislativa de qua determina un duplice rischio: quello per le aziende che vogliono contribuire in modo trasparente all’attività di un partito di incappare in criminalizzazioni da parte degli inquirenti e quello per i lobbisti privi di legittimità e, in particolare, di codici di condotta che conferiscano loro un preciso e definito ruolo politico.

rea problemi sia alle aziende che vogliano legittimamente contribuire e che posso rischiare di cadere in infrazioni, quando in veri e propri reati, sia per i partiti che rischiano di far entrare nelle proprie casse donazioni interessate; ma in difficoltà sono anche i cosiddetti “portatori di interessi”, altrimenti noti come “lobbisti”.

7 Sono indici di collegamento: la composizione degli organi direttivi, la destinazione delle somme da questi erogate.
In particolare, tra le novità più rilevanti della L. 3/2019, vi sono le seguenti: la disciplina delle erogazioni di valore superiore ai 500 euro annui; l’obbligo di annotazione tempestiva degli estremi del contributo ricevuto e l’identità dei finanziatori in un apposito registro e di dare pubblicazione dei medesimi dati in un allegato del rendiconto consultabile sul sito internet del partito (art. 1 c. 11 l. 3/2019); il dovere per i legali rappresentanti dei partiti di trasmettere l’elenco degli stessi finanziatori alla Presidenza della Camera in modo che sia reso disponibile anche sul sito del Parlamento (così l’art. 5 c. 3 D.L. 149/2013 per effetto dell’art. 1 c. 17 l. 3/2019).

8 In un intervento del 2016, l’allora Pres. di ANAC, R. Cantone, definiva l’allora vigente normativa come fonte di «totale anarchia». 

9 Sul punto, indubbiamente interessante la proposta di costituire, nel solco delle esperienze britannica e statunitense, una banca dati centrale al cui interno far convergere i dati concernenti i bilanci di partiti e parlamentari. Un sistema che – come evidenziato – permetterebbe di uniformare i modelli e i documenti di bilancio, di avere un quadro unico per la condivisione dei dati sulle donazioni, di creare un sistema di facile accesso alle informazioni sui finanziamenti.

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