Abbiamo avuto modo di constatare che i rapporti economici in materia energetica non hanno garantito, come ci si aspettava, rapporti pacifici tra paesi fornitori e quelli ricettori. Perché, che la si voglia nell’una o nell’altra agenda, l’accelerazione del processo di sganciamento dalle forniture russe viene sì condotto in nome della transizione verso le energie “pulite”, ma sostanzialmente alimentato dalla consapevolezza che presto, tra una turbina da manutenere e un’altra da sostituire, il “rubinetto russo” verrà staccato.
E certo è che non bastano le intenzioni. Né infilarsi in nuovi mercati. Perché sì la transizione va accompagnata con una riduzione progressiva per mezzo di soluzioni alternative, diversamente le conseguenze sarebbero inimmaginabili, ma è altrettanto vero che l’ingresso di nuovi acquirenti (l’Ue) all’interno di altri mercati (quello del GNL) farebbe aumentare i prezzi e di riflesso i costi in capo ai cittadini.
Per raggiungere una vera sovranità energetica è necessario che gli Stati approvino soluzioni più convinte, e magari concertate (in Italia peraltro si attende l’apertura del dibattito sul progetto di creazione del gasdotto che da Barcellona raggiungerebbe la Toscana e finanziato con i fondi del piano Repower).
In seno a quest’ultimo, invero, si individua da un lato la necessità di diversificare le nostre fonti energetiche dall’altro di procedere con un aumento parallelo delle installazioni di pannelli e impianti eolici per il raggiungimento entro il 2030 del 45% di energia verde.
La transizione però non può avvenire cercando gas qua e là. Nello stesso piano Repower viene infatti precisato che occorre procedere con una corrispondente riduzione del consumo energetico del 13%.
Assai di recente, peraltro, gli Stati membri hanno dato prova di essere realmente intenzionati a raggiungere l’autonomia energetica, pervenendo a un accordo che prevede che ogni Stato è libero di tagliare circa il 15% del gas dal primo agosto fino al 31 marzo 2023, salvo obbligatorietà in caso di dichiarazione di stato d’allerta.
Concretamente significa che occorre abbattere gli sprechi e razionalizzare i consumi portando, ad esempio, a una programmazione del riscaldamento invernale a 18 gradi piuttosto che a un’indiscriminato utilizzo che porti le nostre abitazioni ad atmosfere caraibiche.
Occorre comprendere però che senza l’apertura di un dibattito che permetta il coinvolgimento della popolazione non si va da nessuna parte. Né a Barcellona né in Toscana, né altrove.